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23-10-2023

AUMENTO DEL GAS E GUERRA ISRAELE-HAMAS: COSA DOBBIAMO ASPETTARCI IN BOLLETTA

Intervista al professor Dario Guarascio, professore di Economia e politiche dell’innovazione all’università La Sapienza di Roma.


Lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas ha avuto rapide e significative ripercussioni anche sul mercato dell’energia. Subito dopo gli attacchi del 7 ottobre, il prezzo del gas è schizzato. Si parla di un rialzo di circa il 40%, dai 38 euro al megawattora del 6 ottobre (il giorno prima dell’attacco) ai 53 euro del 13 ottobre. Giovedì 19 ottobre il prezzo si è assestato a circa 49 euro al megawattora, un primo segnale di discesa che però non cancella la preoccupazione per quello che potrebbe accadere nel prossimo futuro. Ne abbiamo parlato con Dario Guarascio, professore di Economia e politiche dell’innovazione all’università La Sapienza di Roma.

Perché c’è stato un balzo improvviso del prezzo del gas con lo scoppio della guerra israelo-palestinese?

L’incremento repentino dei prezzi va legato alla natura del mercato, in questo caso del gas, ma in generale degli idrocarburi. Innanzitutto bisogna sottolineare che si tratta di un mercato altamente concentrato, quindi popolato da poche imprese – in alcuni casi private, in altri statali – che hanno il potere di imporre il prezzo. In più, nel caso degli idrocarburi c’è un problema legato alla localizzazione asimmetrica dei giacimenti e ai problemi geopolitici connessi a questa asimmetria.

Cosa significa questo?

Significa che è un mercato concentrato, caratterizzato da interconnessioni tra gli attori che vi operano e suscettibile di instabilità, incertezza e shock. Subito dopo l’inizio del conflitto israelo-palestinese attualmente in corso, Chevron ha immediatamente chiuso i suoi giacimenti e le sue stazioni del gas al largo di Israele. Anche la guerra in corso tra Ucraina e Russia è una fonte continua – anche se non sempre ugualmente intensa – di shock e instabilità che vanno a ripercuotersi sui prezzi. In generale quando c’è incertezza le imprese, per incrementare i loro margini di profitto, possono – come sta succedendo in questi mesi – reagire facendo dei cartelli, ovvero mettendosi d’accordo per ridurre la produzione e aumentare il prezzo.

E i consumatori?

Dal lato della domanda, cioè dal lato dei consumatori, soprattutto nei Paesi che non sono produttori e dunque non hanno un’abbondanza di offerta a livello domestico, c’è molta poca capacità di reagire e mettere in atto meccanismi di tutela.

Cosa si può fare, allora, per mettersi al riparo da futuri rincari?

Questa vulnerabilità può essere compensata quando vi è la volontà politica di farlo e vi sono adeguate risorse, attraverso misure compensative volte ad attenuare l’impatto dell’aumento del prezzo. Ma nel caso dell’Italia e in generale dell’Europa il prolungarsi delle crisi, la riduzione dei margini di manovra in termini di politiche compensative e il forte potere dei soggetti privati coinvolti (le società che vendono energia) riducono fortemente la capacità e in alcuni casi anche la volontà dei governi di intervenire per imporre una calmierazione del prezzo.

L’unica e reale anche se complessa soluzione alle questioni di cui stiamo parlando sono i piani di politica industriale relativi alla transizione energetica, come il REPowerEU. Ma questi piani sono messi seriamente a repentaglio dalla traiettoria macroeconomica e dalle politiche fiscali che l’Europa sta seguendo in modo, a mio parere, autolesionistico poiché imponendo dei vincoli esogeni alla spesa pubblica, soprattutto nei paesi finanziariamente più vulnerabili come l’Italia, si indebolisce l’efficacia della politica industriale proprio laddove ce ne sarebbe più bisogno.

Dobbiamo quindi aspettarci un aumento in bolletta nei prossimi mesi?

Siamo alle prese con un contesto altamente incerto, che può cambiare da un momento all’altro, e con conseguenze imprevedibili. Quindi è difficile dare risposte definitive. Realisticamente, dati gli elementi che abbiamo in mano in questo momento, possiamo purtroppo temere un nuovo incremento del costo dell’energia e una ripresa dell’inflazione. Nel caso italiano in particolare ma in tutta Europa più in generale, il contesto fiscale e la crisi economica sottraggono spazio di intervento in materia di politica energetica, a differenza di quanto è avvenuto durante le prime fasi della guerra russo-ucraina. Questo riduce la probabilità che vengano poste in essere iniziative di supporto alle famiglie e alle imprese capaci di modificare in modo sostanziale la situazione.

Si stanno riproponendo situazioni simili a quelle della crisi 2008-2011: le regole e la strategia di politica economica dell’Unione Europea sembra andare nella direzione opposta a quella necessaria riducendo lo spazio fiscale e imponendo austerità soprattutto nelle economie ad alto debito come quella italiana. Gli equilibri attuali a livello europeo lo fanno temere. Si tratterebbe, peraltro, di un esisto negativo per l’intera Europa considerando anche che le altre grandi economie mondiali, Cina e Stati Uniti su tutte, si caratterizzano per una maggiore resilienza di fronte agli shock energetici e di maggiori margini di manovra in materia di politica fiscale e industriale.”

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